Ariel Ortega, il vero erede di Maradona

Ariel Ortega, il vero erede di Maradona

Il triste 2020 ci ha portato via, tra le altre cose, anche tanti Vip (qui l’elenco completo). Come Diego Armando Maradona. E questa dipartita, oltre ai vaghi ricordi di quella felice infanzia di fine anni ’80 riguardanti le gioie del Napoli, mi ha fatto tornare alla mente anche un calciatore: Ariel Ortega, “el burrito“.

Trequartista dotato di grande estro, che in Italia abbiamo potuto apprezzare verso la fine del millennio con la maglia della Sampdoria prima e con quella del Parma poi. In tutti questi anni, tanti, troppi, sono stati i calciatori argentini definiti “eredi di Maradona“. Ma credo proprio che Ariel Ortega sia stato quello che più di ogni altro ci sia andato vicino.

E non solo per il suo immenso talento…

Ariel Ortega, genio e sregolatezza proprio come Maradona

Ariel Ortega era un trequartista di bassa statura, in grado di ubriacare gli avversari con gambetas e dribbling. Talvolta anche eccessivi, finendo per innamorarsi troppo del pallone e perderlo. Una “croce e delizia” tipica dei calciatori sudamericani. E poi tanti assist per i compagni di squadra che si piazzavano nell’area degli avversari, certi che il pallone giusto sarebbe prima o poi arrivato. Spesso limitandosi solo al tapin vincente finale per come la palla era telecomandata.
E cosa dire poi delle pennellate coi tiri da fermo, col portiere spesso immobile a guardare. Quasi come ammirasse incantato la parabola tracciata dal pallone.

Altro marchio di fabbrica di Ariel Ortega erano las vaselinas, termine con cui si definiscono i pallonetti nel lessico calcistico sudamericano. La palla scendeva lentamente, muovendosi come fa un serpente con la sua preda. Per poi colpirla mortalmente.

Ecco un video su Ariel Ortega che sintetizza bene il suo talento. Perché le parole possono descrivere certe meraviglie fino ad un certo punto.

Ma Ariel Ortega non si è avvicinato a Diego Armando Maradona solo per il suo aspetto estetico, che misto al numero 10 della maglia Argentina, lo ricordava non poco. O per le sue giocate, seppur non continue e decisive come quelle del Pibe de Oro. Ortega si è è avvicinato più degli altri a quest’ultimo anche per la sua sregolatezza fuori dal campo, materializzatasi non in una candida quanto nociva polverina bianca, bensì in un liquido altrettanto dannoso come l’alcol. Un vizio che Ariel ereditò dal padre, insieme al nomignolo: “el burrito”. Asinello, mentre il padre era “burro“, asino.

L’alcol ha segnato non poco la sua carriera, rendendolo spesso discontinuo e poco tollerato dagli allenatori. Come Diego, ma, rimanendo nel medesimo vizio, direi anche Paul Gascoigne e prima ancora George Best. E anche nel suo caso, proprio come fece Maradona in una intervista a Gianni Minà parlando di se stesso, viene da chiedersi: cosa avremmo realmente visto se el burrito non avesse avuto quel maledetto demone ad accompagnarlo per tutta la carriera?

Ariel Ortega carriera

Malgrado ciò, la carriera di Ariel Ortega è stata discreta. Come ricorda Il Fatto quotidiano, esordì nelle giovanili del Ledesma (squadra della sua città natale) in un derby contro l’Alberdi, quando interruppe una combine segnando dopo un dribbling meraviglioso. Nessuno esultò con lui, nessunò lo abbraccio. Ma un genio è anche questo: spesso condannato alla solitudine. Ma Ariel fece già capire di che pasta fosse fatto: un genio imprevedibile, che non accetta copioni già scritti.

Viene ingaggiato dal River Plate, il sogno di tanti giovani calciatori argentini e qui a soli 17 anni, viene esaltato da Daniel Passarella. Esordisce nel 1991 in prima squadra, diventa titolare e partecipa alle stagioni più vincenti della storia del River: 4 Apertura e una Libertadores. Va al mondiale americano del 1994 come calciatore più giovane alla corte di Alfio Basile, per giunta avendo come compagni di stanza proprio quel Diego Armando Maradona. In un mondiale per quest’ultimo dal sapore amore, prima ammesso dal diabolico Blatter per attirare gli sponsor e poi squalificato per doping. Perché Maradona, non più quello di Napoli, si stava ugualmente rubando la scena. Segnando un gol meraviglioso contro la Grecia.

Poi arrivarono le Olimpiadi del 1996, dove Ortega non è più un giovane panchinaro ma un talento messo in vetrina. E così, Corrado Ferlaino sogna di portarlo al Napoli, per ripetere, dieci anni dopo, un nuovo ciclo. Ma i tempi sono cambiati per gli azzurri: il Banco di Napoli è ormai in dissesto e certi giochetti non si possono più fare.

Così riesce ad accaparrarselo il Valencia ma il suo talento impatterà con la rigidità tattica di Claudio Ranieri, che gli tarperà le ali. Così 2 anni dopo arriva alla Sampdoria di Luciano Spalletti, all’epoca allenatore empolese di belle speranze, già proveniente dal miracolo Empoli. Ma quel campionato per il burrito sarà ugualmente sfigato, perché la Samp va in B, malgrado lui e un certo Vincenzo Montella. Che però troverà la propria gloria nella Roma, seppur anch’egli con non poche difficoltà tattiche causate da mister Capello.

Ariel Ortega a Genova fa vedere cose incredibili, anche tra le difficili difese italiane. E molti ci vedono a tratti proprio Diego. Segnando otto reti, tra cui una splendida punizione contro Milan e Juventus e una doppietta contro l’Inter in un rocambolesco 4 a 2 per i doriani.
Ma prima ancora c’era stato il mondiale in Francia, giocato ottimamente, seppur conclusosi male con una testata assurda al portiere Edwin Van der Saar contro l’Olanda ai quarti di finale. Fu l’unico mondiale da quasi protagonista per Ortega, che in nazionale non lascerà lo stesso segno di Maradona. Ma non ci è riuscito manco Messi, in fondo.

Poi l’arrivo a Parma, dove qualche colpo non manca ma è poca roba. E così il ritorno al River più volte, la fuga dal Fenerbahce e qualche altra apparizione qua e là nel campionato argentino. Patendo tra l’altro anche problemi economici, anche essi tipici di tanti calciatori sudamericani. Incapaci di gestire le proprie fortune, finendo per essere travolti da esse provenendo da origini modeste, se non povere. Fino al ritiro definitivo nel 2011.

Fu convocato in Nazionale proprio da Maradona a 36 anni, prima in una amichevole contro il Ghana l’anno prima del mondiale in Sudafrica del 2010 non scendendo però in campo. E poi un mese prima dell’inizio della competizione contro Haiti, dove Ortega però gioca, e pure titolare a fianco del quasi coetaneo Martin Palermo, a 7 anni dalla sua ultima apparizione con la maglia degli albiceleste.

Non sarà incluso nella lista dei convocati, ma forse El pibe de oro ha voluto in quel modo omaggiare l’unico calciatore ad essergli andato più vicino.

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