Alzheimer, il male oscuro che sta colpendo i calciatori inglesi: i troppi casi

Alzheimer e calcio, una correlazione sempre più evidente. Che in Premier league sta assumendo dei connotati inquietanti.

L’ultimo caso conclamato è quello di Terry McDermott, una delle colonne di quel Liverpool che dominò il calcio europeo tra la fine degli anni ‘70 e gli anni ‘80.

A distanza di quasi 40 anni dalle ultime sue apparizioni sui campi di gioco , il centrocampista dei Reds e della nazionale inglese, , ha annunciato sui profili social del club di soffrire di demenza.

Oggi McDermott ha 69 anni ed ha indossato la maglia del Liverpool tra il 1974 e il 1982. Collezionando 329 presenze e segnando 81 gol. Vincendo così numerosi trofei, tra cui tre Coppe dei campioni e quattro scudetti. Dopo il ritiro dal calcio giocato, è stato vice allenatore di Newcastle, Huddersfield, Birmingham e Blackpool.

Il caso di Terry McDermott ripone sotto i riflettori questa sorta di male diffuso, ormai non più una coincidenza. E si sta individuando la causa nel pallone utilizzato.

Ecco gli altri casi e come il pallone inciderebbe sulla demenza senile.

Demenza senile tra i calciatori: i tanti casi in Premier league

Come riporta Corriere della sera, l’annuncio dell’ex centrocampista inglese arriva a pochi giorni di distanza da quello di Denis Lew, ex Manchester United e Scozia, cui è stato diagnosticato l’Alzheimer.

Dalla stessa malattia sono stati colpiti molti altri protagonisti del calcio inglese, come i campioni del mondo del 1966 Nobby Stiles, Jack Charlton, Ray Wilson e Martin Peters, morti dopo averne sofferto a lungo. Ma ci sono molti altri ex campioni ancora in cura, come Bobby Charlton, Gordon Cowans, Dave Watson, Chris Nicholl e Gordon McQueen.

Alzheimer e calcio cause

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

La FA, la federazione calcistica inglese, ha deciso a partire dalla stagione 2021-22 di ridurre i colpi di testa durante gli allenamenti.

I colpi di testa in questione sono quelli che riguardano lanci lunghi, cross, punizioni o angoli da almeno 35 metri. La FA raccomanda un massimo di 10 colpi di testa con tasso di forza più elevato per ogni settimana di allenamento. L’obiettivo dichiarato è ridurre al minimo le possibilità che i giocatori in futuro abbiano problemi di salute correlati a questi colpi.

Infatti, il problema starebbe più negli allenamenti che durante le gare ufficiali.

Come riporta La ragione, molti studi rivelano la stessa cosa:

  1. Il cosiddetto “Tackle Football’s Dementia Scandal” riporta come i calciatori abbiano possibilità cinque volte maggiori di morire di Alzheimer rispetto al resto della popolazione
  2. La Purdue University è della medesima idea: colpire il pallone di testa dopo che l’ha rinviato il portiere equivale a ricevere un pugno durante un incontro di boxe
  3. Anche il Daily Mail aveva condotto un’importantissima inchiesta: mostrava come tantissimi calciatori che giocavano negli anni ’90 abbiano poi avuto la demenza in età più avanzata

La stessa Premier League aveva inserito una possibile sostituzione supplementare nel caso un calciatore avesse una commozione cerebrale durante la partita. Piccoli segnali che vanno verso una maggiore umanizzazione del calcio, che ormai da decenni tratta i calciatori come mera merce, senza alcun riguardo per la loro salute. Pretendendo sempre di più dal loro fisico.

In questo precedente articolo, invece, ho parlato di un’altra correlazione molto inquietante: quella tra calcio e SLA. Mentre tra i giocatori di football americano a preoccupare è l’incidenza di casi di CTE.

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