Abolizione valore legale laurea: cosa rischiano laureati

La abolizione del valore legale della laurea torna in auge. La discussione era partita già una decina di anni fa, quando al governo c’era il centrodestra e Ministro dell’istruzione era Mariastella Gelmini. La stessa della gaffe del tunnel tra il Cern e il Gran Sasso e la stessa che ha ridotto non poco i fondi per la scuola pubblica. E che oggi fa da portavoce a Forza Italia insieme alla Bernini. Poi se ne continuò a parlare con l’arrivo del governo “dei professori”. Ma non se ne fece più nulla.

L’argomento è un tabù e ogni volta che viene tirato fuori solleva un polverone. Ma cos’è il valore legale della laurea? In pratica, si tratta della certificazione per legge che ogni laurea, conseguita in ciascuna delle università in tutta Italia, abbia lo stesso valore e lo stesso peso nei concorsi pubblici.

Abolire il valore legale della Laurea, quindi, favorirebbe a detta dei suoi sostenitori, la concorrenza tra Università, incentivando il merito e contrastando sprechi e baronato. Di contro, chi si oppone alla abolizione del valore legale della laurea ritiene che ciò aumenterebbe le disparità tra atenei, sia qualitative sia economiche.

Ma cosa rischiano i laureati nel caso in cui il valore legale della laurea venisse soppressa?

Corso legale laurea cosa cambia se eliminata

abolizione valore legale laurea

Come riporta IlSole24Ore, il valore legale del titolo di studio nasce con l’idea di introdurre una sorta di marchio di qualità concesso dallo Stato alle università per garantire ai cittadini la qualità della formazione universitaria. Una garanzia per i cittadini che si servono di professionisti, ma anche per le imprese e il settore pubblico che assumono laureati con il “bollino” di qualità sulle competenze e su curricula certificati.

Il limite del valore legale della laurea – secondo molti osservatori, soprattutto del mondo economico – sta nel suo uso formalistico che spesso ha ottenuto risultati opposti a quelli desiderati. La sua abolizione potrebbe invece significare la liberalizzazione della formazione universitaria, lasciando che il mercato faccia da regolatore del valore della laurea nella sostanza e non nella forma. In pratica la nuova parola d’ordine sarebbe più concorrenza tra gli atenei con quelli più virtuosi – perché hanno i docenti e le strutture migliori e spendono meglio i fondi a disposizione – che diventerebbero i più ambiti dagli studenti per laurearsi e dalle imprese per assumere.

Un fenomeno questo che all’estero è un dato acquisito e che anche in Italia – grazie anche alla diffusione di ranking e classifiche – sta prendendo piede. Insomma già oggi si può sostenere che per il mercato del lavoro non tutti i laureati sono “uguali”. Chi si diploma in un ateneo come la Bocconi o la Normale di Pisa ha sicuramente più chance. E chiunque prima di iscriversi si informa sulle performance dell’università. Non solo. Tra gli effetti ci sarebbe anche che con lo stop al valore legale chiunque potrebbe accedere ai concorsi pubblici indipendentemente dagli studi compiuti.

Abolizione valore legale laurea rischi

lauree migliori

Quali sono i rischi dell’abolizione del valore legale della laurea? Il rischio è quello di favorire la creazione di università di serie A e B. In più l’effetto sarebbe anche l’aumento esponenziale delle tasse in quelle università ritenute migliori che escluderebbero i ragazzi provenienti dalle famiglie con meno redditi. In più sarebbero colpiti soprattutto gli studenti del Sud sia per il reddito procapite mediamente più basso che per le università che già oggi spesso non hanno le stesse performance di quelle del Nord.

A spiegare quali sono i possibili rischi sono gli studenti del movimento Link:

«L’abolizione del valore legale del titolo di studio, lungi dall’essere un modo per favorire il miglioramento dell’attività formativa all’interno degli atenei, costituirebbe il colpo di grazia per le grandi università a scapito di quelle piccole e del Sud, considerando differente la formazione ed il valore della laurea sulla base di parametri discrezionali e che non tengono conto delle esigenze degli Atenei, alimentando la competizione tra gli stessi Atenei e tra studenti che possono permettersi determinate Università e chi invece no».

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